Giorgio Griffa, Quaranta tele, 2001

Giorgio Griffa, Quaranta tele, 2001, acrilico su 40 tele

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Sei grandi opere al MAXXI

Museo MAXXI, Roma

Il MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo di Roma ha completato un’importante acquisizione per la sua collezione pubblica di sei grandi lavori di Giorgio Griffa, opere per lo più monumentali che segnano momenti e tappe significative del percorso vario e complesso della pittura del maestro dai primi passi degli anni ’70 all’inizio del nuovo millennio.
Questa acquisizione aggiunge un tassello significativo alla presenza di Griffa nei musei italiani d’arte contemporanea, che in questo modo recuperano terreno rispetto ad alcuni musei esteri che hanno in collezione un numero significativo di sue opere.
Oltre confine i suoi lavori figurano, per esempio, in collezioni che vanno dal Centre Pompidou di Parigi alla Tate Modern di Londra, dal Centre d'Art Contemporain di Ginevra alla Fundação de Serralves di Porto, dal Dallas Museum of Art negli States alla Obayashi Foundation in Giappone.
Mentre in Italia, Griffa è presente - oltre al MAXXI - nelle collezioni del Castello di Rivoli e della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, del MACRO a Roma, del Museo del Novecento e delle Gallerie d’Italia a Milano, e del MART di Rovereto.

Delle sei tele acquisite dal MAXXI, le prime tre appartengono allo storico ciclo Segni Primari, che segna un momento straordinario tra il 1968 e i primi anni ’70 in cui nasce la pittura di Griffa con alcuni tratti distintivi che segneranno con continuità i cicli successivi: l’abbandono della figura percepita come non necessaria alla pittura, la scelta di segni che appartengono alla mano di tutti, la libertà di un processo che mira alle ragioni del lavoro e sfugge di volta in volta a ogni gabbia formale, il lasciar cadere la gerarchia che va dal pittore creatore alla tela umile ancella per cercare strade alternative al principio di dominazione, l’abbandono del telaio per ragioni pratiche di gestione della pittura su grandi dimensioni ma anche per lasciare alla tela la sua identità e libertà, la scelta del “non finito” per evitare – raccogliendo una sapienza che arriva dello zen – quel punto che colloca l’opera nel passato e suggerire che la pittura continua nel presente.

Da questi presupposti nasce Linee orizzontali del 1973, con quelle linee asciutte e minimali che esprimono sobrietà assoluta e rigore formale, lasciando ampio spazio alla tela non preparata - in questo caso chiara e compatta - che diventa protagonista con un'estesa porzione non dipinta. Dagli stessi presupposti germinano le delicate cromie mediterranee sulla tela pattina – più scura e rada - di Segni orizzontali del 1975, che ricorda, in grande e con toni di colore più vari ed eterei, il lavoro omonimo dello stesso anno che è nella collezione della Tate Modern Gallery di Londra.
Il monumentale Linee orizzontali del 1976 sembra poi suggerire come sia sufficiente variare lo spessore del pennello e la densità del colore per entrare in un’altra dimensione rispetto all’opera omonima del ’73. Qui, se ci avviciniamo alla tela, scopriamo quell’universo frattale che il colore a base acqua realizza entrando in relazione con la tela. È l’intelligenza della materia al lavoro accanto alla mano del pittore, scelta consapevole e dichiarata di Griffa che accompagna sempre il suo lavoro e lo mette in relazione a quello degli amici di gioventù dell’Arte Povera.

L’altrettanto monumentale Arabesco Doppio ci proietta nel pieno degli anni ’80, con grandi campiture di colore – qui di tre toni di rosa, azzurro e giallo particolarmente cari a Griffa – che si mettono in dialogo, in questo caso, con  alcuni segni che portano la memoria della decorazione, che è memoria della storia dell’ uomo: dai segni angolari che avvicinano il sapore antico della scrittura cuneiforme a quello attuale della notazione bra-ket della meccanica quantistica, all’arabesco che mette insieme il tempo lineare della modernità con quello circolare degli antichi perché avanza sempre e torna sempre indietro, alla “greca” che segna la salita in cielo e la discesa nell’ombra del sole, ovvero l’alternarsi del giorno e della notte.

Nel Trittico con sette linee si passa agli anni ’90 e il dialogo tra segni si estende oltre la singola tela, con un gioco di relazioni tra un “modulo” di sette linee rosse - comunque sempre diverse - riportato su ognuna delle tre tele e, rispettivamente, un grande campo di colore rosa, alcune spesse linee curve viola ad andamento orizzontale e altre azzurre sottili che sembrano cadere come liane dall’alto.

Si arriva così all’ultima opera acquisita dal MAXXI, il cui titolo Quaranta tele corrisponde alla realtà di fatto di un lavoro del 2001 – davvero un unicum – in cui si rivela la varietà e la complessità dell’alfabeto di segni e colori di Griffa. 
Linee rette e curve, punti, tacche, arabeschi, greche, sinusoidi, pennellate di varia foggia, misura e colore che si rincorrono, si susseguono, balzano, passano da una tela all’altra, come ha fatto la pittura fin dai primi segni che l’uomo ha tracciato sulle pareti di una caverna. 
Un processo che qui diventa anche gioco, inno alla gioia e alla vitalità della pittura.
Un’energia e una capacità di rinnovamento che trova corrispondenza anche nelle molteplici possibilità di installazione dell’opera, che può essere montata su una linea unica a percorrere più pareti o su più linee sovrapposte, modulando diversamente gli spazi tra una tela e l’altra, oppure ancora può interrompersi in una sala per riprendere nella successiva o in quella ancora più in là, ecc…: come tutta la pittura di Griffa, è capace di mostrarsi in configurazioni sempre nuove, adattandosi alla situazione e al contesto, dialogando con lo spazio che la accoglie e le conoscenze del tempo di chi la osserva.